Matarazzo condivide la sua storia di gioventù audace: “Acconsentii e partii con il mio bagaglio”

Pellegrino Matarazzo ha conceduto la sua prima intervista come allenatore della Real Sociedad ai media ufficiali del club, offrendo uno sguardo approfondito sul suo profilo. Un allenatore con un percorso di vita singolare, influenzato dall’emigrazione e da una forte identità, così come da un amore per il calcio che ha manifestato sin da giovane.

“Il mio nome è di origini italiane perché i miei genitori, italiani di nascita, si sono trasferiti negli Stati Uniti per lavoro. Lì si sono incontrati”, racconta. È cresciuto in una comunità italiana coesa, dove la lingua e la cultura erano quotidiane.

“La nostra comunità era molto unita. Abbiamo creato una grande famiglia. L’italiano è stata la mia lingua madre prima di iniziare la scuola, poi ho imparato l’inglese a scuola”.

Riguardo al suo nome, Matarazzo mostra una certa leggerezza e ironia.

“Non mi importa come mi chiamano. Pellegrino o ‘Rino’. Alcuni mi chiamano ‘Pelle’, ma non ritengo di meritare un soprannome così prestigioso”, dice ridendo. Fin da piccolo, il calcio ha rappresentato il suo grande sogno, anche se il contesto in cui viveva non era particolarmente calcistico. “Il mio sogno era il calcio. Crescevo guardando la Serie A. Nella stanza di mio padre, su un televisore piccolo, osservavo Maradona mentre giocava per il Napoli”. Quelle immagini hanno avuto un impatto profondo su di lui. “È sicuramente il motivo per cui sono venuto in Europa. Per il calcio, per questa passione. È una parte fondamentale di me, che ha un grande significato. È per questo che sono qui”.

I suoi primi passi nel mondo del calcio furono in gran parte spontanei e quasi ragionati. “Cominciai a giocare a calcio ovunque. Negli Stati Uniti non era molto popolare, quasi trascurato come sport. Non era ciò che praticavano le persone nella mia comunità”, ricorda. Nonostante ciò, ha sempre mantenuto un forte legame con le sue origini. “Ho sempre avuto una passione per le mie radici italiane. Ecco perché mi sono trasferito in Europa”. Il Mondiale del 1994 rappresentò un momento cruciale per lui. “Fu un passo importante per il calcio. Ho visto molte partite, tra cui Spagna in Washington. È stato un grande evento. Ricordo anche Italia-Nigeria”, racconta con un tono nostalgico.

Matarazzo sottolinea anche quanto sia stata fondamentale la sua formazione scolastica. “Sono molto fiero di aver studiato. Quelli sono stati dei momenti significativi nella mia vita. Ho imparato a lavorare con i dati e ho migliorato le mie abilità analitiche grazie a questo”. Tuttavia, è consapevole che il calcio non può essere ridotto solo ai numeri. “Conosco i limiti di questo approccio. Non si può sacrificare lo spirito umano per restare ancorati ai numeri. Questo lavoro riguarda le persone, ed è questo che conta. So come operare all’interno di gruppi e squadre”.

La sua esperienza in Germania è stata quasi un’avventura fondamentale. “Inizialmente andai in Italia, ma non funzionò. Non ebbi l’opportunità. Tornai negli Stati Uniti e un amico di mia madre che era tedesco mi vide giocare e mi chiese se volevo trasferirmi lì. Accettai e partirono con la mia valigia”. Iniziò dal basso. “Cominciai dalla quarta divisione, già adulto, e rimasi lì per 25 anni”. Un percorso che chiarisce la persona che oggi conosciamo come Pellegrino Matarazzo.

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