Negli ultimi dieci anni, i proventi delle squadre di calcio derivanti dai diritti televisivi sono aumentati di tre volte

Sono passati dieci anni da quando è stata approvata una legge fondamentale per il calcio professionistico spagnolo. Si tratta del Real Decreto che regola la vendita centralizzata dei diritti televisivi, ponendo fine a un’epoca in cui ogni club gestiva autonomamente le proprie entrate audiovisive, creando così enormi disparità.

Fino a quel momento, il Barcellona e il Real Madrid controllavano il 42% dei redditi da televisione. Questa iniziativa è stata sostenuta da un gruppo di trenta squadre noto come G-30 e ha trovato supporto in Parlamento nell’allora Segretario di Stato per lo Sport, Miguel Cardenal.

Miguel Ángel Gil, amministratore delegato dell’Atlético de Madrid e vicepresidente di LaLiga, sottolinea come questo decreto sia stato cruciale per trasformare il settore in un’industria vera e propria, aumentando sia la qualità della competizione che il valore dei contenuti audiovisivi. Il fatto che le nostre partite siano trasmesse in oltre 180 nazioni rappresenta un riconoscimento degli sforzi compiuti in questi dieci anni. È interessante notare come, nonostante la Spagna sia il quinto paese d’Europa per popolazione, si posizioni al secondo posto in termini di incassi legati ai diritti audiovisivi.

In quel periodo, la situazione del calcio in Spagna era critica: il club con i minori introiti poteva guadagnare fino a 13 volte meno rispetto ai due colossi del settore. Inoltre, le squadre accumulavano debiti per oltre 650 milioni di euro nei confronti dell’Amministrazione Pubblica e più del 50% di esse si trovava in procedura di insolvenza, con oltre 150 denunce per mancati pagamenti ai calciatori pari a 90 milioni. Questo decreto ha quindi conferito a LaLiga l’esclusiva per la vendita dei diritti nazionali e internazionali, inizialmente per cicli di tre anni, poi estesi a cinque, stabilendo un limite significativo: nessun club può guadagnare più di 3,5 volte rispetto a quello che riceve il club con il minor introito.

Per raggiungere un equilibrio sostenibile, LaLiga ha implementato un sistema di controllo economico per monitorare e sanzionare i club che superano i limiti di rosa, non rispettano gli obblighi fiscali o non adempiono ai requisiti previdenziali. Inoltre, una parte dei ricavi viene destinata a supporto delle squadre retrocesse, dello sport femminile e di altre discipline olimpiche, evidenziando così l’aspetto solidale di questo modello. Gli introiti provenienti dalla televisione sono aumentati notevolmente, passando da circa 600 milioni durante la stagione 2014-2015 a quasi 2000 nella stagione più recente. Attualmente, il club con il minor fatturato supera i 40 milioni di euro, a differenza dei sette milioni della stagione precedente con vendita individuale. Nello specifico, nella stagione 2014-2015 i ricavi ammontavano a 844 milioni, mentre l’ultima stagione ha registrato 1839 milioni, segnando una crescita del 117,9%. La distribuzione dei ricavi segue parametri stabiliti dalla legge stessa. Dopo aver sottratto i costi di produzione e commercializzazione, il 90% è destinato alla Prima Divisione e il 10% alla Seconda. Per il 90% assegnato ai club della massima categoria, il 50% è distribuito in modo equo, il 25% in base ai meriti delle ultime cinque stagioni e il restante 25% secondo criteri di impatto sociale, con una distribuzione che prevede un massimo del 20% e un minimo del 2%, basato su indicatori come le vendite dei biglietti, le audience e i progetti comunitari. Per quanto riguarda la Seconda Divisione, il 10% viene diviso in questo modo: il 70% in modo equo, il 15% in base ai risultati dell’ultima stagione e il 15% in base all’impatto sociale, di cui due terzi sono legati alle audience e un terzo alla vendita dei biglietti.

Il Decreto stabilisce un sistema di solidarietà in cui viene trattenuto il 2,5% delle entrate totali per il Fondo di Compensazione (destinato ai club retrocessi), oltre all’1% per LaLiga, un ulteriore 1% per la RFEF e un altro 1% per il calcio in generale. Inoltre, è previsto un 1,5% per il Consiglio Superiore dello Sport (CSD), di cui il 5% è riservato al calcio non professionistico e femminile, mentre un 1,5% va a sostegno di altre federazioni. Infine, è assegnato un 0,5% all’AFE.

Ma ci sarà un cambiamento in futuro? La legge menzionata ha portato alla creazione all’interno della stessa Liga di un organismo incaricato di controllare la gestione dei diritti audiovisivi, con varie responsabilità tra cui la commercializzazione e l’utilizzo di tali diritti, oltre alla supervisione e audit della gestione commerciale e dei risultati economici connessi alla loro vendita. Questo organismo si rinnova ogni stagione e include i due club che hanno generato maggiori ricavi televisivi negli ultimi cinque anni (attualmente Real Madrid e Barcellona), insieme ad altri due club scelti tramite votazione, un club di seconda divisione e il presidente di LaLiga, Javier Tebas, che ha il voto decisivo in caso di pareggi. Il CSD e la RFEF partecipano alle riunioni come ascoltatori, senza diritto di voto. Possono essere invitati anche l’Agenzia Statale di Amministrazione Tributaria e la Tesoreria Generale della Sicurezza Sociale, in qualità di creditori pubblici, qualora qualche club o ente partecipante abbia debiti con queste istituzioni. Secondo quanto riportato da MD, il CSD sta lavorando a una revisione di questo Decreto per includere nella vendita collettiva i diritti televisivi della Liga professionale femminile.

La modifica proposta prevede un cambiamento dell’organo di controllo, che dovrebbe assumere il ruolo di vigilare sull’attuazione dei criteri di distribuzione stabiliti dalla norma. Una delle questioni principali da affrontare riguarda le possibili ripercussioni che si avrebbero se la responsabilità del monitoraggio della distribuzione non fosse più nelle mani di LaLiga, ma passasse al Governo. Se tale ristrutturazione dovesse avvenire, si prevede una netta opposizione da parte delle squadre di LaLiga. Secondo quanto riferito da fonti vicine alla questione, i club ritengono fondamentale che qualsiasi cambiamento avvenga solo con un ampio consenso tra le società di calcio professionistico.

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