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Stretching attivo e stretching passivo: qual è la differenza?

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Lo stretching è da sempre sinonimo di prevenzione degli infortuni e miglioramento del movimento. Tuttavia degli studi hanno dimostrato che lo stretching muscolare passivo (dove il rilassamento è ottenuto attraverso posizioni passive), lascia il sistema neuromuscolare in una situazione non funzionale. In altre parole, non favorisce un avvio immediato del sistema-muscolo scheletrico in azioni in cui sono richieste delle contrazioni rapide ed energiche.

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Stretching attivo e stretching passivo: differenze

Importante è anche tenere a mente che la vera limitazione del movimento è data non dal tessuto muscolare, ma dal tessuto connettivo, dai tendini e dall’aponeurosi. Se questa fascia di protezione del muscolo è troppo piccola, i movimenti permessi saranno limitati.

Inoltre, è interessante notare come il resto degli animali non pratichino assolutamente alcun tipo di stretching passivo, ma siano comunque agili e non abbiano alcuno schema posturale errato. Nel mondo animale c’è più movimento dello stretching, mentre in quello degli umani si allunga più di quanto ci si muova.
La chiave potrebbe quindi essere questa: muoversi di più e fare meno stretching. Rimane però il problema che la maggioranza delle persone si muove male. In tal senso è importante cominciare a praticare dello sport sin da bambini. Alla base di ogni movimento corretto, fluido ed efficiente deve esserci infatti un’adeguata mobilità articolare, e la si raggiunge più facilmente nei primi dieci anni di vita. Per garantirla bisogna imparare a muoversi, cioè a fare dello stretching attivo.

Stretching attivo e stretching passivo: come e quando ricorrervi

La soluzione per una corretta mobilità articolare è un paradosso: “allungare per non allungare”. Questa frase esprime molto bene il concetto di lavoro a breve e lungo termine in una progressione per migliorare la mobilità. In altre parole, a bassi livelli di condizione fisica, dove le abilità di base non sono ancora state recuperate e non esiste una mobilità minima, l’obiettivo principale è recuperare questo deficit ed evitare squilibri. In questo caso l’ideale è affidarsi ai tradizionali esercizi di stretching morbido, sostenuto e passivo.

Tuttavia, man mano che la mobilità si riprende, è necessario includere esercizi più impegnativi che oltre allo stretching forniscano qualcosa in più. Ci sono infatti degli esercizi attivi dove i muscoli stabilizzatori e il controllo posturale migliorano la stabilità e la coordinazione intermuscolare. Il passo successivo è poi proporre esercizi e situazioni che richiedono una maggiore richiesta di forza muscolare. Infine, possono essere inclusi esercizi balistici dove, attraverso accelerazioni dei diversi segmenti corporei, si ottengono stimoli diversi che migliorano la coordinazione e l’efficienza neuromuscolare.

Questi esercizi finali basati non sono propriamente esecuzioni di stretching ma hanno un’alta componente di forza. Se si conduce una vita attiva, in cui si eseguono esercizi diversi per articolazioni diverse, si include un lavoro di mobilità che è di per sé efficace a evitare di dover ricorrere allo stretching passivo.

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